Che cosa sono le Buyer Personas? Sono persone: costruite a tavolino, incarnano perfettamente il tuo pubblico ideale. È a loro che devi parlare. A loro che devi indirizzare i tuoi messaggi pubblicitari.

Il tuo sito web, le tue campagne, il tuo prodotto, non sono per tutti. I canali digitali oggi non sono pensati, non sono progettati, per veicolare il tuo marchio al maggior numero di persone possibile, cioè a tutti. Perché se vendi a tutti, allora, online, non vendi a nessuno.

Bisogna individuare, nello sterminato pubblico digitale, la nicchia che fa per noi. Il gruppo di clienti per cui il nostro prodotto o servizio sembra fatto apposta. Una volta che abbiamo individuato il nostro target, e che abbiamo usato un linguaggio pubblicitario persuasivo per lui, allora possiamo vendergli quello che vogliamo.
Le Buyer Personas ci aiutano a individuare questa nicchia, a parlare direttamente a chi ne fa parte.

Cosa sono le Buyer Personas?

Le Buyer Personas sono i nostri clienti ideali. Sono costruzioni fittizie di persone che costituiscono il nostro target di riferimento.

Ritratti veritieri che presentano tutte le caratteristiche utili a costruire specifici messaggi per loro. Dobbiamo dare loro un nome e cognome, un lavoro, uno stipendio, una famiglia, la localizzazione geografica, i sogni o desideri. Più precise saranno, meglio sapremo parlare loro.

Come si costruiscono le Buyer Personas?

La creazione delle Buyer Personas non si fa a tavolino, inventando biografie immaginarie. La rappresentazione del nostro pubblico ideale si basa su ricerche di mercato e dati precisi. Si inizia studiando attentamente quelli che già sono nostri clienti, le domande che fanno, cosa scrivono nelle recensioni che lasciano, come si comportano quando interagiscono con noi.

Poi ci sono le community digitali, come i gruppi Facebook. Leggere i commenti, studiare i post, analizzare i comportamenti ci aiuta a definire le Buyer Personas. Google Analytics e i Social Media Insight sono un’altra fonte importantissima di dati, come anche semplici questionari e interviste.

In base alle informazioni raccolte si andranno a compilare dei veri e proprio identikit da tenere sempre in considerazione quando si producono contenuti digitali di qualunque tipo. Dai blog post alle newsletter, dai testi delle campagne social agli SMS.

Conoscere il proprio pubblico è una delle regole fondamentali per avere un ritorno dell’investimento quando si parla di digital marketing.
Se vuoi migliorare questo aspetto della tua comunicazione digitale, parlane con noi!

 

Il processo di naming, trovare il nome giusto a un brand o a un prodotto, è uno dei primi passaggi da affrontare quando ci si affaccia sul mercato.
Dare il nome a una marca, a un prodotto specifico o a un servizio, può sembrare una semplice operazione di creatività e ingegno. Un lampo di genio improvviso mentre stai guidando, facendo la doccia o, in generale, pensando ad altro.

Questo poteva essere vero fino a qualche decennio fa, quando il mercato era meno complicato e meno saturo. Oggi il processo di naming deve tenere conto di tantissime variabili e, se una parte di creatività è ancora importante, il risultato va analizzato con cura per evitare brutte sorprese.

Quando il nome di un brand diventa memorabile

Un nome diventerà memorabile non solo perché è bello (bello per chi poi? e perché? in quale contesto?) ma perché ci sarà nel tempo un delicato equilibrio tra:

  • forza della proposta: se il prodotto è davvero innovativo e risponde per primo a un bisogno crescente del pubblico, il nome, anche se non perfettamente azzeccato, avrà più probabilità di essere memorizzato
  • investimento promozionale: più alto sarà l’investimento in pubblicità, di qualsiasi tipo, più valida sarà la strategia di marketing alle spalle del nome, è più il nome sarà ricordato
  • effetto fonetico: più il nome è melodico, facile da pronunciare, piacevole all’orecchio, più sarà facile memorizzarlo.

Il nome giusto: un errore da evitare

L’errore in cui si cade più spesso è pensare che il nome di un brand o un prodotto debba per forza di cose spiegarlo. Debba essere descrittivo.

Nike spiega una scarpa da ginnastica? Nestlé cosa descrive?

Il nome del brand non ha necessariamente il compito di spiegare: il suo compito è quello di differenziarsi dalla concorrenza, proteggere dalla contraffazione, sintetizzare l’identità del brand e, nel tempo, diventare un capitale aziendale.
Perché la riconoscibilità e l’autorevolezza legate a un nome diventano un capitale, anche se non è una parola contenuta in un dizionario ma una parola inventata.

Come si inventa un nome?

Per prima cosa si devono avere ben chiari i valori del brand e la sua mission aziendale. Perché solo da questi si risale al messaggio che il nome deve dare, a come deve risuonare nella mente del pubblico e quali immagini deve evocare.
Si può procedere in vari modi: coinvolgere un team, fare una ricerca individuale, fare interviste di gruppo.

Un campo da scandagliare è sicuramente quello semantico, per individuare tutte le parole che possono ruotare intorno al mondo di un brand nascente. E giocare con loro per trovare combinazioni, significati nuovi, assonanze.

Osservare la concorrenza e analizzare le scelte e il posizionamento degli altri nomi amplia il nostro ventaglio di possibilità.

Questa prima parte del lavoro è un minuzioso processo di raccolta che porta alla fase finale, quella propriamente creativa, che partorisce nomi su nomi. Da questa rosa di nomi si procederà poi razionalmente a selezionare i più adatti in base a precisi criteri di valutazione.

Come si capisce se un nome è quello giusto?

Ma come si capisce se un nome è quello giusto? Siamo portati a pensare che il nome giusto sia quello che ci piace di più, quello che porta in sé una sorta di “vibrazione” che ce lo fa suonare perfetto.
Questo però non è un criterio valido per la scelta del nome giusto.

Il nome giusto non è quello che piace, ma quello che funziona.
Che quindi risponde a precisi criteri di marketing, di creatività, di linguistica ed eventualmente di proprietà intellettuale. Il nome giusto è per sempre!

Esempi di naming dal mondo

Amazon in origine non si chiamava così. Possiamo immaginare che il Jeff Bezos degli inizi non avesse a sua disposizione un team di namewriter, e il nome che aveva dato alla sua impresa era Cadabra. Il problema, e se ne accorse piuttosto presto, era che Cadabra in inglese suona un po’ troppo come cadaver. Il nome andava cambiato.

Chissà quanto questo ha influenzato la storia di Amazon. Il suono, l’impatto fonetico del nome, è uno degli aspetti da tenere in considerazione quando si valuta un nuovo nome. E questo non solo nei confronti della lingua italiana. Possiamo chiamare un prodotto per la pulizia della casa Scit, e può sembrare azzeccatissimo, ma il suo significato inglese è abbastanza chiaro a tutti e il processo di naming deve evidenziarlo. Pena spese future di renaming, posizionamento, aggiustamento.

Un altro criterio di valutazione dovrebbe essere la certezza che il nome non segua una moda del momento. Weroad, Wetransfer, Webuild, Weworld, Wedo: un naming di questo tipo trascura la caratteristica di unicità.

Il brand prevede sviluppi futuri? E il nome come si presta a questi sviluppi? FedEx ad esempio ha optato per un’architettura di brand che riprende il nome declinandolo per le varie divisioni del gruppo. FedEx Express, FedEx Services, FedEx Ground.

Apple ha fatto una scelta diversa, e sotto il cappello della mela troviamo iPhone, iPod, iPad.

 

Il processo di naming più corretto prevede molti passaggi e molte figure professionali: non sempre c’è il budget o il tempo per compierlo al meglio.
Ma la consapevolezza di come un nome non deve nascere dall’improvvisazione è però la base su cui costruire identità di brand solide e durature.

 

Il tuo sito web è uno strumento che ti aiuta a conoscere meglio il tuo pubblico, ti fornisce dati che puoi sfruttare nella tua strategia commerciale e aiuta la tua impresa a costruire autorevolezza e identità online.
Questo se, oltre a essere stato progettato bene, è anche sfruttato bene!

In questo articolo ti parliamo delle potenzialità del tuo sito web, così puoi capire se è stato costruito bene e se lo stai usando al meglio.

Il sito ha bisogno di manutenzione!

Hai un sito bellissimo: ha una grafica moderna, accattivante, i testi sono originali e curati. Ma non converte. Riceve pochissime visite al mese, non genera contatti e ti sembra di avere buttato via i soldi spesi per realizzarlo e pubblicarlo.

Questo succede perché il sito non è un prodotto one-shot: paghi qualcuno che lo fa, lo pubblica, ed è finita lì. Per essere indicizzato da Google, e quindi proposto agli utenti come valida risposta alle loro ricerche online, il sito ha bisogno di manutenzione e aggiornamenti.

Una parte del sito deve rimanere costante e uguale nel tempo – homepage, pagine dei servizi, pagina dei contatti – per risultare riconoscibile e affidabile a Google. Una parte, invece, deve essere costantemente aggiornata, e questa parte è costituita dal blog. Entrambe poi, devono essere progettate e riempite di contenuti in ottica SEO, cioè i testi devono seguire precise regole per “funzionare” sui motori di ricerca.

Questo doppio lavoro, manutenzione e produzione di contenuti originali per il blog, deve essere costante per produrre risultati, e deve seguire una strategia di comunicazione che si sposa con le eventuali campagne di pubblicità online.

Indicizzazione geografica

Se la tua attività ha bisogno di essere riconosciuta a livello locale ci sono molti accorgimenti tecnici e contenutistici da mettere in pratica.

Lo sapevi che se non metti l’indirizzo nel footer il tuo sito potrebbe non comparire nelle ricerche di utenti che si trovano vicino a te o cercano attività come la tua nella tua città?

Google tiene sempre più conto dei fattori geografici nelle ricerche degli utenti, sempre in ottica di fornire loro un servizio migliore. Facciamo un esempio banale: se cerco una pizzeria e mi trovo a Modena, sarà abbastanza inutile che nella prima pagina di Google compaiano solo risultati di Parma, Bologna o Reggio Emilia.

Se il tuo mercato ha quindi una forte componente local è importante compiere tutte le azioni che favoriscono la local SEO (Local Search Engine Optimization). Azioni che includono aspetti tecnici del sito e aspetti contenutistici, come testi e keywords.

Inoltre, dobbiamo considerare che un altro motore di ricerca molto usato è Google Maps: Maps ti dà la possibilità di gestire un Profilo dell’Attività, che si può collegare al tuo sito web, e che ti aiuta a essere indicizzato a livello local.

Il sito web risponde al pubblico

Siamo abituati a pensare che vendiamo un prodotto, o un servizio, e partiamo da quello per promuoverlo.

Nel web funziona esattamente al contrario: prima bisogna testare le esigenze del pubblico, con strumenti e analisi specifiche, e poi in base ai risultati costruire la propria strategia di marketing digitale.

È dal pubblico, e dalle ricerche che fa online, che devono partire le nostre proposte.

Sembra facile da capire ma non lo è altrettanto da mettere in pratica. È una metodologia di comunicazione e promozione che prevede umiltà e flessibilità, e comporta un atteggiamento molto adattabile nei confronti del proprio lavoro.

Se si decide di investire in un’identità e in un piano di marketing digitali, si deve essere pronti ad ascoltare il pubblico e a fare dei cambiamenti. Potremmo scoprire che gli utenti di Google cercano su internet un servizio che noi abbiamo sviluppato poco perché non ci interessava farlo, ma che potrebbe rivelarsi la chiave di volta per conquistare grandi numeri sul web.

Il sito web come fonte di informazioni

Se il sito è debitamente controllato e analizzato fornisce dati sui reali bisogni e comportamenti degli utenti online. Dati che possono dare suggerimenti utili sulle strategie commerciali da adottare.

Un esempio concreto? Un cliente Agire che vende serramenti ha sempre puntato su uno specifico brand, ma il comportamento degli utenti sul sito ha rivelato una netta preferenza per un altro. Scaricavano le brochure di quello specifico brand più dell’altro, passavano più tempo sulle pagine dedicate a lui invece che all’altro.  Abbiamo quindi fatto una specifica azione di marketing sul quel marchio con ottimi risultati.

Come abbiamo detto prima, il sito risponde alle ricerche degli utenti: possiamo pensare di essere forti su un certo servizio o prodotto, ma se vediamo che il pubblico ne cerca un altro, dobbiamo rivedere le nostre posizioni. Attraverso il sito gli utenti ci dicono che cosa vogliono, sta a noi cercare una risposta alle loro specifiche richieste.

Il tuo sito web rispecchia queste caratteristiche?
Se non ne hai la certezza chiedi un audit del tuo sito: individuiamo i punti deboli e li risolviamo uno a uno!

 

La newsletter è uno strumento spesso considerato a margine della propria strategia di marketing: una spesa accessoria del piano di comunicazione. Ma considerare la newsletter una spesa e non una risorsa è molto limitante.

Anche inviare newsletter senza una precisa strategia, solo quando c’è una particolare offerta in corso o quando si ha tempo di scriverne una non serve a molto.

Integrarla nella propria comunicazione, sfruttarla con metodo e pianificazione, invece, può portare ottimi risultati.

Soprattutto perché la newsletter è un canale di comunicazione diretto con i propri clienti, un canale in cui possiamo dire quello che vogliamo senza preoccuparci di privacy policy o regolamenti esterni. La newsletter ti permette di dire quello che vuoi e quando vuoi al tuo pubblico. Ti permette di creare messaggi specifici per categorie di lead. Inserita in un piano di comunicazione strategico è un’arma potente che merita di essere sfruttata a dovere!

Newsletter e DEM: quali differenze?

Cominciamo con il distinguere la newsletter dalla DEM (Direct Email Marketing).

La newsletter è periodica: per quanto possibile rispetta una scadenza, che può essere mensile, quindicinale o settimanale, a seconda delle risorse che servono per spedirla e dei contenuti disponibili.
La DEM è una mail inviata una volta sola con una specifica offerta. In pratica una mail inviata agli iscritti a una lista con fini commerciali.

L’una, ovviamente, non esclude l’altra. Newsletter e DEM si possono integrare tra loro in un programma di comunicazione chiaro e dagli obiettivi ben definiti.

A che cosa serve una newsletter

La newsletter veicola al proprio pubblico dei contenuti: questi contenuti ovviamente devono essere percepiti dai destinatari come interessanti, come novità di settore o innovazioni aziendali.

Si può sfruttare per

  • consolidare la propria autorevolezza
  • aumentare il traffico al sito
  • aumentare le vendite
  • fidelizzare i clienti.

Siamo noi a decidere quante volte mandarla, se mandarla identica a tutti gli iscritti oppure dividere questi ultimi in categorie precise, ognuna destinataria di un messaggio specifico.

Bisogna avere ben chiaro quali e quante risorse si possono dedicare alla newsletter, e poi definire quali obiettivi vogliamo raggiungere. In seguito, si imposta la periodicità e si stila un piano editoriale.
Gli strumenti di invio delle newsletter ci permettono di avere moltissime informazioni: quante newsletter sono state inviate, quante sono state aperte. Chi si è disiscritto, chi ha cliccato su un link presente. Uno storico preciso di questi dati ci permette di conoscere meglio il nostro pubblico, e quindi di inviare comunicazioni più efficaci.

Un esempio concreto di una newsletter B2C: Xeven

Xeven è uno shop fisico e online specializzato in prodotti per cani, con tutti gli accessori che servono per fare sport con loro.

Per Xeven abbiamo progettato una newsletter in cui spieghiamo quanti e quali tipi di guinzagli ci sono in commercio, le loro caratteristiche e quali sono i più adatti per fare diverse attività con il cane, dal trekking alle passeggiate, dalla vita in città alla gita al mare.
Il suo pubblico è già estremamente targettizzato, quindi la newsletter è generica, uguale per tutti i contatti.

Ovviamente all’interno del testo della newsletter ci sono i link ai vari guinzagli di cui parliamo e che sono presenti nello shop. La newsletter può portare a immediate conversioni, perché qualcuno tra i lettori acquisterà un guinzaglio, ma anche nel caso in cui non lo facesse, abbiamo costruito autorevolezza del brand.

Xeven è competente. È generoso perché regala contenuti utili al suo pubblico. È utile. È un punto di riferimento.
La sua newsletter è costruita per diventare un appuntamento fisso con il pubblico, per fidelizzarlo e aumentare gli accessi al sito.

La newsletter per il B2B

Ma la newsletter è uno strumento importantissimo anche per il B2B.

Per prima cosa si deve avere in atto una strategia di lead generation efficace, quindi campagne di advertising digitali so Google, LinkedIn, Facebook o qualunque altra piattaforma ospiti i potenziali lead.
I diversi lead devono poi essere targettizzati in modo da creare un pubblico definito per interesse e categorie, ognuna destinataria di una specifica newsletter.

La tua impresa utilizza la newsletter come strumento di marketing?

Non sempre si riconosce alla newsletter il suo potenziale, ma un piano di comunicazione e una strategia di marketing complete e ben strutturate la devono prendere in considerazione.

Se utilizzi già la newsletter ma pensi non sia progettata per permetterti di raggiungere i tuoi obiettivi, contattaci per parlarne insieme!

Perché fare pubblicità su Facebook? Perché insieme alle campagne di Google Ads, quelle di Facebook Ads sono la strada più scientifica per fare pubblicità.
Una volta posti gli obiettivi di una campagna pubblicitaria, questa campagna è misurabile in ogni suo aspetto.

Le metriche che puoi monitorare ti indicano quante persone hanno visto la campagna, quante l’hanno cliccata, quante hanno portato a termine un acquisto (se la tua pubblicità puntava a quello).

Metriche che ti indicano precisamente se stai facendo bene o male, e qual è la strada migliore da seguire per raggiungere i tuoi obiettivi.

Quali pubblicità funzionano? Quelle che puoi misurare!

Ci sono molti modi di fare pubblicità: spot televisivi, spot radiofonici, affissioni, espositori da vetrina, pubblicità online.

Le campagne pubblicitarie online, che si tratti di Facebook, Google o LinkedIn, hanno un grandissimo vantaggio rispetto alle altre: sono estremamente misurabili.

Pensiamo a un’affissione vicino a un semaforo: potremo avere dei dati su quante macchine transitano in quel punto della strada, e di queste quante si fermano al semaforo rosso e magari hanno più tempo per guardarsi intorno.
Ma questi numeri non ci dicono niente su quante persone abbiano effettivamente visto l’affissione, quante la leggano, quante capiscano il messaggio pubblicitario.
Siamo bersagliati da informazioni di qualunque tipo in ogni momento della giornata e la nostra concentrazione è molto bassa. Che possibilità ha una pubblicità generica, non indirizzata a noi, capitata sotto i nostri occhi mentre siamo impegnati a fare altro, di fare breccia nel nostro cervello?
Quante volte ci capita di guardare un’affissione senza in realtà vederla davvero?

Questo tipo di pubblicità non sono misurabili: non si può valutare il loro impatto e quindi il ritorno sull’investimento in modo sicuro e incontrovertibile.

Le campagne pubblicitarie digitali

Una campagna digitale seleziona a monte il pubblico, mostrando l’inserzione solo a un pubblico in qualche modo interessato al nostro prodotto o servizio.
Può essere un pubblico che ha già visitato il nostro sito, che interagisce abitualmente con la nostra pagina Facebook, che ha già acquistato da noi o che ha fatto ricerche su Google con parole chiave inerenti alla nostra offerta.
Possiamo sapere quante persone hanno visto l’annuncio, quante ci hanno cliccato sopra, quante hanno compilato un eventuale form per lasciare i loro dati.
Possiamo sapere chi ha messo prodotti nel carrello del sito ma non ha poi terminato l’acquisto (e possiamo mostrargli un annuncio ad hoc per spingerlo a farlo, le cosiddette campagne di remarketing).

Le possibilità di monitoraggio sono tantissime, e possiamo impostare quali parametri controllare in base agli obiettivi della nostra pubblicità.

Che cosa puoi misurare con una campagna digitale?

Quali sono i parametri che puoi misurare con una campagna digitale per capire quanto ti ha permesso di raggiungere o arrivare vicino ai tuoi obiettivi?

Copertura: il numero di persone che hanno visto il contenuto della tua pubblicità.

Impression: il numero di volte che una campagna pubblicitaria ha avuto la possibilità di essere visualizzata dagli utenti.

Clic: il numero di clic sui link all’interno dell’inserzione che hanno reindirizzato il pubblico a prodotti o servizi, dentro o fuori Facebook.

CPC (Cost per Click): il costo medio di ogni clic sul link. Il CPC è una metrica usata per valutare l’efficienza e le prestazioni delle inserzioni. La metrica viene calcolata come l’importo speso in totale diviso per i clic sul link.

CTR (Click Through Rate): il rapporto fra il numero dei click generati da un annuncio e il numero delle volte in cui l’annuncio stesso è stato visto.

Conversion rate: la percentuale di visitatori unici che hanno effettuato la specifica azione che è l’obiettivo della campagna. Le conversioni sono le azioni completate dal cliente, come gli acquisti o le aggiunte al carrello su un e-commerce. O la compilazione di un form. Si possono monitorare grazie al pixel di Facebook, una riga di codice da inserire sul sito.

ROI (Return on Investment): il ROI misura il profitto generato da una campagna in relazione al suo costo di investimento e quindi misura la performance di una strategia di advertising. ROI = Utile/Costi dove Utile = Ricavo – Costi, ossia i ricavi al netto dei costi.

ROAS (Return On Advertising Spend): misura i ricavi lordi generati da ogni euro speso nella nostra campagna.

Tenere sotto osservazione questi parametri ti permette di sapere sempre e in qualunque momento in quale direzione sta andando la tua pubblicità. Quanto è in linea con i tuoi obiettivi, quanto è efficace per raggiungerli.

Se vuoi iniziare a fare pubblicità online su Facebook e Instagram con campagne efficaci e performanti contattaci!

 

La Lead generation è, letteralmente, la generazione di contatti. Contatti utili, contatti interessati e interessanti, quelli che più probabilmente diventeranno tuoi clienti.

Puoi fare Lead Generation in tanti modi: i contatti che si portano a casa dopo una fiera di settore sono frutto di un lavoro di Lead Generation, ma oggi sappiamo bene che non è sufficiente. La Lead Generation che sfrutta il web può diventare un costante flusso di contatti: vediamo come.

Che cos’è un Lead?

Un Lead è una persona che ha dimostrato abbastanza interesse per i nostri prodotti o servizi da condividere con noi i propri dati personali, come e-mail o numero di cellulare. È una persona che non ha ancora effettuato un acquisto, ma che rientra nel nostro target di riferimento e che ha compiuto un primo passo per diventare un cliente vero e proprio.

I Lead sono a tutti gli effetti clienti potenziali, interessati a quello che proponiamo loro e che hanno bisogno solo di una leggera spintarella per concludere un acquisto.

Cosa si intende per Lead Generation

Definito che cos’è un Lead, cosa si intende per Lead Generation?
La Lead Generation è l’insieme delle attività di marketing finalizzate a generare dei Lead, quindi dei contatti che possano trasformarsi in potenziali clienti.
La Lead Generation si può avvalere oggi di tecnologie in grado di raccogliere Lead in base a precisi criteri e informazioni.

Proprio in base alla tipologia di Lead raccolti si possono mettere in campo strategie di marketing e di vendita specifiche per ogni tipo di Lead, e per questo molto più performanti.

Come si fa Lead Generation

Come si fa Lead Generation?
Per prima cosa l’azienda che intende implementare strategie di acquisizione Lead deve avere una solida presenza digitale.
Il sito web è ovviamente fondamentale, come l’attenta gestione di tutti i canali digitali, come i profili social.

A questo si deve aggiungere una strategia di campagne di advertising, Google e/o social. I Lead possono arrivare anche dalla produzione di contenuti come i blog post sul sito o il piano editoriale sui social, ma rimangono numeri molto piccoli e sui quali è difficile fare previsioni o avere dati su cui costruire azioni di successo.
Le campagne di advertising digitale, invece, su Google, Facebook, LinkedIn o altri social, possono assicurare un’acquisizione di contatti continuativa e in target.
Definito il pubblico a cui la nostra campagna di Lead Generation si rivolge, decidiamo quali e quante campagne online attivare: la persona che clicca sul nostro annuncio si trova un messaggio costruito su misura per lei, con una call to action che invita a compilare un modulo online.

Questa persona entra a far parte delle liste di contatto costituendo una lead

Lead magnet: do ut des

Ma che cosa si può fare per convincere una persona a lasciarci i suoi dati?
Un buon modo può essere quello di usare un Lead Magnet, cioè un incentivo gratuito che l’utente scarica dal sito web o dalla landing page di un annuncio, in cambio della compilazione di un form dove inserisce alcuni dati personali.

Possono essere contenuti di approfondimento, come e-book gratuiti, o di formazione, di risoluzione problemi. Incentivi che apportano contenuti di qualità al nostro target specifico.
Perché i nostri Lead Magnet abbiano successo è importante lo studio del nostro pubblico, per scoprire quali sono i suoi desideri e i suoi bisogni.

Ecco qualche esempio di Lead Magnet:

  • tutorial o video
  • e-book o guide PDF
  • corsi formativi
  • webinar
  • sconti o coupon
  • casi studio
  • report o ricerche
  • template.

Una volta ottenuti i contatti, sarà compito dell’azienda occuparsi della loro gestione per far sì che si trasformino in preventivi e vendite. E che i Lead qualificati si trasformino in clienti.

Lead Generation Funnel: cos’è?

Per arrivare ad avere contatti qualificati, si deve costruire un vero e proprio percorso. Il Lead Generation Funnel è il processo a imbuto contenente tutte le fasi che l’utente deve superare per trasformarsi da Lead a cliente.
Un percorso che parte da un elevato numero di persone per poi ridimensionarsi fino a portare esclusivamente, se tutto è stato fatto bene, a individui realmente interessati e disposti alla conversione.
Il presupposto per la creazione di un funnel valido è la conoscenza del target, del pubblico a cui ci rivolgiamo con la nostra produzione di contenuti e le nostre campagne di advertising.

In questo modo si attrae il pubblico per poi passare alla fase di conversione, il momento in cui i visitatori cliccano su una CTA, compilano un form di contatto e inseriscono i propri dati personali in cambio dell’accesso a una risorsa gratuita (Lead Magnet).
Non tutte le Lead sono predisposte naturalmente a comprare subito un prodotto o iscriversi a un servizio. È compito dell’azienda curare le Lead ottenute per conquistare la fiducia nel cliente fino a portarlo all’acquisto.
Fidelizzare è l’ultima fase: il cliente non deve essere abbandonato dopo l’acquisto deve continuare a ricordarsi del brand, della sua affidabilità, fino a diventare addirittura un ambassador

Dove fare Lead Generation?

Abbiamo visto alcuni dei canali di marketing online e degli strumenti che servono a ottenere nuovi contatti di qualità, e questi valgono sia per il B2B che per il B2C.

  • Opt-in inseriti nel blog per scaricare risorse gratuite
  • Sito web aziendale ottimizzato SEO
  • Campagne di advertising su Google Ads e Facebook Ads
  • Social media
  • Landing pages con una chiara call to action
  • Form di contatto per richiedere informazioni specifiche
  • Form di registrazione o pop up, come quelle per iscriversi alla newsletter.

È ovvio che per funzionare si deve costruire una chiara strategia multichannel con una divisione delle risorse e dei budget disponibili. Stilare chiari obiettivi da raggiungere e costruire Buyer Personas affidabili sono le prime cose da fare insieme ai professionisti che si occuperanno poi di attivare le risorse utili, impostarle e monitorarle. 

Se vuoi mettere in atto una strategia di Lead Generation che ti porti contatti di qualità, contattaci! La costruiremo su misura per te.

 

Molti siti aziendali ospitano il blog, una sezione del sito dedicata a news di settore, aggiornamenti, promozioni. Ma è davvero così importante avere il blog aziendale?

La risposta è sì, senza dubbio.

Detto anche corporate blog, il blog aziendale assolve a una serie di funzioni importantissime per generare traffico e costruire una solida reputazione digitale, e in questo articolo le andremo a vedere in dettaglio.

Breve storia del blog

Alcuni brand, forse perché hanno ancora una percezione del blog legata ai suoi inizi, fanno fatica a chiamarlo così. News o magazine sono altri nomi che incontriamo spesso, ma indicano tutti la stessa cosa: una sezione del sito dedicata agli approfondimenti e alle novità di settore.

Quando i blog sono nati, nel 1997, si chiamavano weblog. Quello considerato ufficialmente il primo blog della storia di Internet fu aperto da Jon Barger, commerciante appassionato di caccia, che voleva uno spazio in cui condividere link utili con chi aveva la sua stessa passione.

È solo nel 1999 che prende piede l’abbreviazione blog, e che i contenuti pubblicati cominciano ad avere un aspetto più simile a quelli che conosciamo oggi.

Perché serve un blog?

Perché il tuo sito web possa essere un potente mezzo di marketing, deve essere visitato dagli utenti.

Ma come funziona il percorso che porta un utente su un sito? Siamo portati a pensare che un utente digiti direttamente l’URL del sito, atterri sulla homepage e da lì inizi a navigare tra le varie pagine.
In realtà è davvero raro che succeda così: gli utenti fanno ricerche sui motori di ricerca, Google in testa, digitando specifiche parole chiave.
Google scandaglia il web e propone diversi siti come risposta alla ricerca, quelli che ritiene rispondano meglio alla ricerca dell’utente.

Quali sono i criteri che spingono Google a mettere nelle prime posizioni un sito? La presenza di annunci pubblicitari, la SEO del sito e i contenuti aggiornati come gli articoli del blog. L’utente, infatti, può atterrare sul nostro sito direttamente su una pagina del blog.

L’algoritmo di Google privilegia siti web con contenuti aggiornati: se il sito è statico e non si arricchisce mai perde posizioni.

Articoli del blog e intento di ricerca

Studiando gli intenti di ricerca degli utenti, si possono costruire articoli ad hoc che rispondono proprio alle loro domande, intercettando un traffico estremamente in target. Non è quindi una sezione da riempire senza una strategia, con contenuti scelti sulla base di quello che fanno i competitor o con il primo argomento che viene in mente per quel mese.

Gli articoli si devono basare sulle ricerche degli utenti: se non ci sono ricerche degli utenti online su un argomento, il relativo articolo del blog cosa mai andrà a intercettare?
Ci saranno sicuramente dei casi in cui il nostro articolo potrà essere un apripista per un determinato argomento. Magari una novità di settore di cui siamo tra i primi a parlare, o un nuovo trend che abbiamo individuato e che proponiamo nel nostro blog. Ma questa non deve essere la regola: meglio alternare i tipi di contenuto.

Il blog quindi assicura visibilità online, ma non solo: ci permette di mostrare la nostra competenza in riferimento al nostro settore. Se gli utenti interessati al nostro settore di business trovano online risposte alle loro domande e approfondimenti nel nostro blog, la nostra autorevolezza di brand aumenta.

In questo senso il blog diventa una vetrina delle competenze aziendali.

Blog e Lead Generation

Il blog non deve essere necessariamente legato alle vendite e alla promozione del marchio.
Come abbiamo visto, è uno strumento che serve ad aumentare l’autorevolezza del brand: creando contenuti di approfondimento su argomenti inerenti al nostro settore dimostriamo di essere competenti e autorevoli.

Una volta che gli utenti sono sulla pagina del nostro articolo di blog, sta a noi, con un web writing capace, link interni ed eventuali form di contatto, come per esempio di iscrizione alla newsletter, ottenere i loro dati o farci contattare. In questo modo un corporate blog diventa un canale importante per la Lead Generation.

Blog e social

Creare contenuti per i social porta via molto tempo: gli articoli di blog sono importanti anche da questo punto di vista perché possono essere scomposti e rielaborati in più post da pubblicare sui canali aziendali, con call to action che rimandano al sito per approfondire.

Come devono essere gli articoli del blog aziendale

Il blog non è uno spazio di vendita diretto, ma uno spazio di informazione, di relazione e di dialogo.
I blog post, cioè gli articoli del blog, non devono essere contenuti prettamente pubblicitari ma informativi. E devono superare le 350 parole, o Google non li reputerà di valore.
Devono essere scritti in ottica SEO, quindi con tutti gli accorgimenti necessari per andare incontro agli algoritmi dei motori di ricerca. Senza dimenticare le pratiche del web writing, perchè la scrittura indirizzata al web è molto diversa da quella pensata per la carta stampata.

Quando pubblicare gli articoli

Un blog che funziona deve essere uno spazio curato, con un piano editoriale che ne indichi la linea editoriale, il tipo di contenuti e la frequenza di pubblicazione.

È sempre difficile dare numeri precisi, e assicurare che funzionino: la frequenza di pubblicazione dipende da un grande numero di fattori. La cadenza mensile è però il minimo da cui partire, e si valuta caso per caso, in base alla strategia di comunicazione del brand e alle risorse disponibili, se è sufficiente oppure no.

Alla domanda quindi: ma il blog serve davvero? abbiamo risposto subito di sì e spiegato nel dettaglio perché. Per iniziare a progettare contenuti di valore per il tuo blog, contattaci!